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Vanni, il lupo e l’open bar
La favola che mi piaceva di più da piccolo?
Cappuccetto rosso
Il perchè non lo so o meglio non me lo ero mai chiesto, ma sta di fatto che doveva aver qualcosa che mi interessava di più delle altre.
Così adesso che ci rifletto forse ho capito…
Intanto ho impiegato anni, e tutt’ora non ne sono sicuro, per comprendere che Cappuccetto Rosso fosse una femmina, quindi, pensando che invece si trattasse di un bambino solo nel bosco che portava vivande alla nonna malata probabilmente mi impersonificavo di più che con la classica principessa alle prese con matrigna, streghe e nanetti.
Le mie nonne non vivevano da sole e anche se costipate io non gli ho mai portato alcun cestino, però mi ci vedevo con lo zainetto pieno ad attraversare la foresta.
E poi non c’era il solito e francamente noioso principe azzurro che la sposava alla fine con cavallo bianco e codazzo festante di cortigiani felici e contenti.
Il principe azzurro era troppo comodo. Troppo facile la vita così, via in giro per i boschi a caso o fai una festa senza sapere chi inviti e paam arriva la più bella del creato che si innamora di te senza nemmeno guardarti bene… mai successo dai, impossibile…
E poi le feste di matrimonio non mi sono mai piaciute un granchè prima di capire cosa volesse dire OPENBAR, ma questa è un’altra storia…
Inoltre il lupo, che poteva benissimo mangiarsi bambino e cestino già nel bosco, prima va dalla nonna, se la mangia intera e poi lo aspetta travestito a casa sotto le coperte. Che stupido allora se lo meritava davvero il cacciatore…
Io ho sempre tenuto per i lupi nelle favole, amavo Willy il coyote, Gatto Silvestro e Tom il gatto.
Anche Gambadilegno era meglio del saccente Topolino. BeepBeep era insopportabile, Titti il canarino pure ed anche Jerry era da uccidere.
Ma il lupo Ezechiele dei tre porcellini, devo anche averlo già scritto da qualche parte, era il mio preferito.
Alla fine il lupo che si mangia la nonna è già una mezza vittoria e poi il cacciatore, la lotta, gli spari e la nonna che salta fuori intatta dalla pancia e tutti che festeggiano con il cestino pieno di roba buona…
Gran finale insomma dove si mangia senza clacson festanti e principi azzurri.

Nella casetta dei boschi di Collecchio domenica scorsa sono venuti Lions e la partita è stata dura, tirata e risolta dal numero 23 che da 23 yard a tempo scaduto ha calciato in mezzo ai pali il 10 a 7 con cui abbiamo vinto.
Due partite a Collecchio e due volte che il Diaffo segna a tempo scaduto o quasi…
Io non so se qualcuno se lo ricordava, ma la prima partita tra Lions e Panthers fu giocata nel 1986 a Bergamo.
Ad un secondo dalla fine siamo 14 a 14 e i Lions sono abbastanza vicini per tentare un FG e vincere.
Invece il calcio viene stoppato e jackberselli46, sì proprio lui, la prende e corre per 100 yard in endzone dall’altra parte.
Vincemmo 14 a 21 tra gioia ed incredulità e sorrido ora a pensare ai 20 campionati che seguirono.
Quella vittoria e quella di ieri hanno poco in comune tranne GPZardin e GioRossi che allora come me erano in campo, ma ci dicono che vince sempre chi non molla fino alla fine, chi riesce ad usare anche l’ultimo istante per mettere la testa avanti.
I Lions sono ben più forti dello zero in classifica di oggi e hanno quel ricevitore con il 19 che fa parte di un’altra categoria da sempre.
La storia dei Panthers e dei Lions è la storia del nostro sport, insieme abbiamo vinto la metà dei campionati italiani e 15 di questi degli ultimi 17 giocati ed al di là del risultato finale è stata davvero un’ardua battaglia domenica.
Ancora una volta, il nostro coach Papoccia si è messo il vestito da supereroe con il 3 sul petto ed ha fatto tutto davvero il giocabile, ha corso, ricevuto, bloccato, placcato.
Ha fatto anche qualche fallo, da renderlo un po’ più umano, ma per il resto si è messo a spingere quella squadra che da sola, tutta italiani, fa ancora fatica a crederci.
Sì perché è solo questione di credere che si può fare, partita dopo partita, scalino dopo scalino, allenamento dopo allenamento.
E credere non vuol dire sperare.
Credere presuppone che il soggetto ci metta del suo, sperare no.
Uno crede in se stesso e può sperare in qualcosa altro.
Speriamo quando ci affidiamo al caso che ce la mandi buona e francamente mi farebbe pena vincere solo per fortuna o perché era destino…

Credere che se ognuno ci mette del suo, allora migliorando raggiungeremo l’obbiettivo.
Ecco in cosa credo
E poi negli occhi ho ancora lo sguardo di Vanni52 che dopo un blocco contro flusso da cine, si gira verso la panchina e mi guarda.
“Io ti vedo” gli dico, lui è un altro che ci crede e sarà contagioso.

Il resto è un po’ come la favola di Cappuccetto Rosso ed il suo cestino, non bisogna avere paura di andare da soli per il bosco se si ha uno zainetto pieno di cibo, primo perché se anche qualcosa ci frenasse nel sentiero lungo 12 partite abbiamo la scorta di cibo per sopravvivere e secondo perchè, una volta arrivati a casa della nonna in Luglio, il lupo (probabilmente di mare) non ci spaventerà.
Crediamo….

 

by Ugo Bonvicini

 

 
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