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Passioni e pezzi di puzzle
Avete mai fatto un puzzle? Tipo quelli da 5000 tessere…
Di solito il puzzle te lo regalano e più sono bastardi e più il cielo della copertina della scatola è enorme e ci saranno almeno 2000 pezzi tutti azzurri.
C’è qualche pazzo che invece se li va a comprare e se li sceglie apposta impossibili…
All’inizio sei euforico per la sfida e senti dentro di te l’energia per cominciare a dividere per colori, sfumature, mettendo da parte i quattro introvabili angoli ed i pezzettini con il lato piatto che vuol dire “cornice”.
Il giorno seguente ti avvicini al tavolo dei mucchietti e vedendo la montagna di pezzetti più che l’energia del giorno prima, ti sorge la domanda:
ma sono sicuro che lo voglio fare? Mica me lo ha ordinato il dottore…
Insomma i giorni passano e i primi pezzi si uniscono ed è tutto un altalenante su è giù tra le 5000 volte che dici:
- ecco il pezzo giusto, alè alè dai che mi piace
e le 4999 volte che pensi al contrario che avresti impiegato meglio il tuo tempo a fare altro.
E se consideri il tempo, è molto più lungo durante la paranoia dei tentativi di incastrare pezzi che lo sai che non si incastreranno mai, piuttosto che i pochi istanti di godimento dell’incastro corretto.
Però giorno dopo giorno, paranoia dopo paranoia il mosaico prende forma e sei contento.
Fare un puzzle o impegnarsi in una cosa che ti appassiona non significa sempre e solo rose e fiori.
Anzi ci sono spesso momenti in cui pensi di perdere la sfida o che non ne vale la pena.
Poi trovi quel fottutissimo pezzettino che eri sicuro non era stato prodotto appositamente solo per farti incazzare… e quando lo trovi, per quanto tu sia ancora lontano dalla fine, sorridi e ti penti di aver pensato ad una autobomba nel magazzino centrale della RAVENSBURGER.

Domenica contro i Giants abbiamo messo qualche pezzettino al posto giusto, ben 45 tessere del mosaico si sono posizionate ed il quadro Panthers ha notevolmente migliorato la sua immagine, i suoi contorni.
Il pezzo più pregiato e bello da attaccare è stato il più piccolo, quello con la mitica maglia 33 che ha sgroppato in lungo ed in largo per tutto il giorno.
Il Malpo ha giocato come è capace di fare ed alla fine c’era pure un bambino che voleva il suo autografo!
Ad onor del vero tutti hanno giocato come sanno e abbiamo dimostrato a noi stessi che quando facciamo bene le cose siamo davvero forti.
Che sarebbe stata una bella giornata si era capito durante la settimana: Giovedì sera è stato il miglior allenamento dell’anno.
No, non è successo nulla di spettacolare, ma quando 40 persone si muovono coordinate in campo senza urli, fischi o casini vari, quando è tutto sereno e preciso e non ci sono errori, allora sai che domenica giocherai bene.
In questi mesi abbiamo visto la luce ed il buio, abbiamo preso un sacco d’acqua e pian piano è venuto fuori il sole.
E’ normale che sia così ed abbiamo capito bene che dipende sempre da noi e non dagli altri.
Così non ci rimane altro che continuare con il puzzle, formando catene e gruppi, ed ogni giorno la squadra diventerà sempre di più una cosa sola.
Non è di certo finita, ci sono ancora alcuni parti senza collocazione, ma l’importante è proseguire con il lavoro con l’obbiettivo di posizionare il 5000esimo pezzo il primo venerdì di luglio.
Fino ad allora tutto potrà succedere, una folata di vento, un gatto che si mangia alcuni pezzetti od una tessera che cade dal tavolo e sparisce sotto al divano, ma questo è quello che ci piace fare e continueremo.

Ieri ho spiegato a Ric&Roc che per vivere si deve lavorare e che non sempre il lavoro è divertente come giocare e guardare i cartoni.
Magari ci pagassero per fare quello…
Ci sono però dei lavori molto divertenti che sono talmente belli che ti ci impegni solo per amore e non importano i soldi a fine mese.
Si chiamano passioni.
C’è chi le chiama puzzle, chi auto sportive, chi musica, chi Juve, chi caccia e chi pesca e chi le chiama Panthers.
Allora Ric mi ha chiesto quanto dura una passione.

Avevo la risposta pronta da 44 anni 9 mesi e 2 giorni con le loro notti:
- per tutta la vita -
(G.G.Marquez)


 

by Ugo Bonvicini

 

 
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